Napoli Hotel e Alberghi - Hotel Amaranto***Afragola(NA)

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Napoli Hotel e Alberghi

Nei Dintorni
La Storia della Parthenope

La fondazione della città di Napoli risale a tempi remoti, cosicché non è possibile stabilire la data del primo insediamento.

E' certo, comunque, che, già prima della fondazione della città, tutto il litorale era stato colonizzato da genti greche provenienti dall' Eubea e dalla  Calcidica.

Essi fondarono la città di Cuma e da qui partirono alla volta dell'attuale colle di Pizzofalcone, dove fondarono il primo nucleo della città di Napoli, esso prese il nome di Partenope, che nella tradizione fu associato a quello di una sirena che avrebbe avuto la sua dimora nella acque del golfo.

Tale sito fu poi distrutto e così, intorno al 470 a.C., fu ricostruita la nuova città,  che fu detta Neapolis, per distinguerla da quella vecchia; essa sorse ad oriente dell'area di fondazione della prima città.

Neapolis fu costruita secondo quello che, in seguito, è stato definito sistema ippodameo, perché creato dall'architetto greco, vissuto nel V sec. a.C. Ippodamo di Mileto: esso consiste in una rete di tre grandi strade parallele, dette, successivamente, con vocabolo latino decumani, intersecate ad angolo retto da altre vie, più strette, dette cardini. Presenti nell'attuale struttura urbanistica del centro antico di Napoli, i tre decumani sono le vie dell'Anticaglia (decumano superiore), dei Tribunali (decumano centrale) e San Biagio dei Librai (decumano inferiore).

Nel 340 a.C. i romani iniziarono la conquista del territorio campano e nel 328 a.C. scoppiò la guerra tra Napoli e Roma. Ben presto la città fu conquistata dai romani che, però, concessero agli sconfitti alcuni privilegi, come l'uso della lingua greca e la conservazione delle antiche magistrature.

La  città divenne, poi, municipio romano e fu in questo periodo che l'aristocrazia romana iniziò a frequentare il golfo, costruendo splendide dimore, sia a Neapolis che in tutta la zona dei Campi Flegrei.

Caduto l'impero romano d'Occidente, l'imperatore d'Oriente Giustiniano, inviò a Napoli il suo generale Belisario per conquistarla; ma egli trovò un'accanita resistenza da parte dei napoletani. Stava quasi per abbandonare l'impresa quando alcune spie gli indicarono una via d'ingresso attraverso un antico acquedotto, solo così fu possibile per gli assedianti penetrare nella città.

Successivamente la città fu conquistata dai Goti e poi di nuovo dai bizantini. Durante il dominio di questi ultimi furono costruiti in città numerosissimi monasteri ed ebbe il definitivo sviluppo la religione cristiana.

Nel 581 e nel 592 fu la volta dei Longobardi, che assediarono Napoli. Successivamente la città si ribellò all'imperatore, dandosi un governo autonomo; ma ben presto Bisanzio ripristinò l'ordine. Infine nel 661 l'imperatore nominò Basilio duca e fu l'inizio di una certa autonomia della città.

Napoli crebbe di importanza; nel 773 il duca Stefano II, riconoscendo l'autorità del papa, a discapito di quella dell'imperatore, fu nominato vescovo. Da quel momento, pur restando formalmente soggetto all'imperatore, il ducato divenne indipendente.

In questi anni va ricordata la sconfitta dei saraceni ad opera della flotta napoletana guidata da Cesario, figlio del duca Sergio, nell'843; così come nell'849, quando, vincendo ad Ostia, si evitò il saccheggio di Roma.

Lo sviluppo dei commerci, dell'arte e della cultura fu una costante nel periodo ducale; però il nuovo attacco dei Longobardi nel 1027, costrinse alla fuga il duca Sergio IV.

Nel 1077 vi fu la comparsa sulla scena dei Normanni: essi avevano già conquistato Salerno, e solo Napoli resistette e riuscì a rimanere indipendente.

Nel 1130 Ruggiero II fu incoronato re a Palermo; nel 1134, a capo di una potente flotta, strinse d'assedio la città, conquistandola. Successivamente il popolo napoletano tentò di costituire una repubblica, con l'aiuto del papa Innocenzo II, ma, quando, nel 1139, i normanni sconfissero il papa, anche Napoli dovette arrendersi a Ruggiero.

Il nuovo re fu molto generoso con la città conquistata: favorì i nobili e i cavalieri e diede un grande sviluppo alle arti e alla cultura, così come ai commerci.

Alla sua morte gli successe il figlio Guglielmo I detto il Malo, in quanto avaro, egli regnò dal 1154 al 1176. Durante il suo regno vi furono contrasti col papa, che si alleò con Federico Barbarossa.

Fu poi la volta di Guglielmo II, egli regnò dal 1176 al 1189, morendo, in giovane età, senza eredi maschi. Salì, così, al trono suo nipote Tancredi, che regnò dal 1190 al 1194.

Nel 1191 Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa, cercò di impadronirsi del regno, non riuscendovi. Dopo la morte di Tancredi, salì al trono Guglielmo III, che nel 1195 dovette cedere il trono all'imperatore Enrico IV.

Quando, nel 1197, l'imperatore morì, gli successe il figlio Federico II. Quest'ultimo, però, potette entrare in città solo nel 1220. Federico II fu un uomo estremamente colto, che accolse alla sua corte letterati, poeti e artisti e fondò l'Università a Napoli.

Alla sua morte, nel 1250, gli successe il figlio Corrado, ma dopo appena quattro anni questi morì, lasciando come erede il figlioletto Corradino. Però Manfredi, figlio naturale di Federico II e reggente del regno in nome del fratellastro Corradino, si fece incoronare a Palermo re di Sicilia nel 1258. Egli fu grandemente contrastato dal papa Urbano IV, che avviò trattative per affidare a Carlo I d'Angiò la conquista del regno di Sicilia.

Il principe angioino, giunto in Italia, sconfisse Manfredi nel 1266 a Benevento. Egli scelse Napoli come sua capitale e protesse anch'egli letterati ed artisti.

Un anno dopo la sconfitta di Benevento, dalla Germania scese in Italia Corradino, per riappropriarsi del regno. Egli, però, venne sconfitto da Carlo d'Angiò a Tagliacozzo nel 1268  e fu fatto decapitare.

A Carlo I successe il figlio Carlo II, che regnò dal 1285 al 1309; fu, poi, la volta di Roberto detto il saggio, che regnò fino al 1343. Anche questo sovrano fu amante delle arti e delle lettere e raccolse una ricchissima biblioteca. Egli ebbe un solo figlio maschio, Carlo, il quale morì lasciando due figliolette.

Fu così che, alla morte di re Roberto, a questi successe sul trono, nel 1343, la nipote Giovanna. Essa fu coinvolta in una congiura di palazzo che nel 1345 costò la vita a suo marito Andrea, fratello del re d'Ungheria Luigi I il Grande. La congiura fu capeggiata da Luigi di Taranto, che, poco dopo, sposerà la vedova Giovanna, cercando, poi, di far fronte al re Luigi I d'Ungheria, che aveva, intanto, occupato il regno per vendicare la morte del fratello.

Conclusa la guerra, la regina Giovanna rimase di nuovo vedova e sposò in terze nozze Giacomo III d'Aragona-Maiorca. Alla morte di questi sposò Ottone di Brunswick. Non avendo discendenti diretti, Giovanna designò erede Carlo di Durazzo, figlio di un cugino, per poi ripensarci e designare successivamente Luigi d'Angiò. Carlo di Durazzo nel 1381 si impadronì del regno, facendo eliminare la zia. Nel 1386, dopo essersi recato in Ungheria per farsi incoronare re, Carlo di Durazzo fu avvelenato.

A questo punto la vedova di Carlo, Margherita di Durazzo, dovette fronteggiare una situazione difficilissima: con Luigi d'Angiò che accampava diritti sul regno, essa cedette, nel 1393, il trono al figlio Ladislao, il quale, dopo alterne vicende, riuscì addirittura ad occupare Roma. Ciò, però, suscitò la preoccupazione di Firenze, che chiamò in aiuto Luigi II d'Angiò, che sconfisse Ladislao nel 1411. La lotta sarebbe continuata, ma nel 1414 Ladislao moriva.

Gli succedeva, così, la sorella Giovanna II che, anch'essa senza eredi, prima adottò Alfonso V d'Aragona e, successivamente, nominò suo successore Renato d'Angiò. Alla morte della regina quest'ultimo fu proclamato successore.

Alfonso d'Aragona, però, non aveva rinunciato alle pretese sul regno e assediò Napoli, penetrandovi, infine, nel 1442. Fu l'avvento della nuova dinastia aragonese. Egli fece il suo ingresso trionfale in città nel 1443, e si dimostrò da subito amante delle arti, dei letterati e mecenate. Egli favorì lo sviluppo di una accademia umanistica che, in suo onore, fu detta Alfonsina e, successivamente, Pontaniana.

Alla morte di Alfonso, nel 1458, gli successe il figlio illegittimo, poi legittimato da papa Callisto III, Ferdinando I o anche Ferrante. Egli fu inflessibile nei confronti del potere della nobiltà, che cercò in tutti i modi di combattere. Soffocò nel sangue, nel 1485, la cosiddetta Congiura dei Baroni, mandando a morte tutti i congiurati.

Nel 1494 a Ferrante successe Alfonso II, ma alla discesa in Italia delle truppe di CarloVIII di Francia, egli abbandonò il regno, rinunciando al trono in favore del figlio Ferdinando II detto Ferrandino. Questi tentò di opporsi all'invasione francese, ma dovette fuggire. Riuscì a rientrare in città pochi mesi più tardi, ma, a meno di un anno da questo evento, morì senza eredi. Il regno passò a suo zio Federico, ma questi non poté nulla contro francesi e spagnoli che si contendevano le sorti del regno. Così, mentre Federico si consegnava nelle mani dei francesi, gli spagnoli, guidati dal generale Consalvo di Cordoba, entravano a Napoli: era l'inizio di due secoli di dominazione spagnola sulla città.

Il regno fu governato da viceré. Tra i tanti ricordiamo don Pedro Alvarez de Toledo, che promosse lo sviluppo urbanistico della città, con la creazione della grande strada che, ancora oggi, porta il suo nome. Così come il conte di Lemos don Ferrante Ruiz de Castro y Andrada, che fece edificare il Palazzo Reale.

Nel 1700, alla morte di Carlo II di Spagna, vi fu una lotta per la successione al trono tra Filippo V e l'imperatore Leopoldo d'Austria, alla fine fu instaurato a Napoli un viceregno austriaco, che durò dal 1707 al 1734.

Alla fine Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese decise di conquistare l'Italia meridionale e nel 1734 sconfisse gli austriaci, instaurando, nuovamente, un regno indipendente. Egli diede un notevole impulso alla vita del regno e della sua capitale. Fece realizzare la Reggia di Capodimonte e quella di Caserta, il Teatro San Carlo e l'Albergo dei Poveri, nonché la famosa Fabbrica di Porcellane di Capodimonte.

Alla morte, nel 1759, del fratellastro Ferdinando VI, re di Spagna, che non lasciò eredi, gli succedette sul trono.

Sul trono di Napoli salì il piccolo Ferdinando IV, che governò, data la giovane età, per mezzo di un consiglio di reggenza. Quando, nel 1798, attaccò i francesi, che avevano occupato Roma, questi occuparono Napoli, costringendolo a rifugiarsi in Sicilia.

Fu così proclamata la Repubblica Partenopea. Ben presto, però, venne a mancare l'appoggio della Francia, impegnata nella campagna d'Egitto con Napoleone. Gli inglesi sbarcarono a Napoli e fu una spietata repressione: furono giustiziati l'ammiraglio Caracciolo, Eleonora Pimentel Fonseca e tanti altri fautori della Repubblica.

Rientrato a Napoli, Ferdinando IV dovette, dopo poco, fuggire nuovamente in Sicilia. Napoleone, infatti, poneva sul trono del regno di Napoli, in un primo tempo, il fratello Giuseppe Bonaparte e, nel 1808, il cognato Gioacchino Murat. Solo dopo il Congresso di Vienna Ferdinando IV, che dal 1816 diventava Ferdinando I dello stato che assumeva la nuova denominazione di Regno delle Due Sicilie, poteva rientrare a Napoli.

Francesco I, figlio di Ferdinando I, divenne re nel 1820, a lui successe, nel 1830, il figlio Ferdinando II, che, dopo aver promosso un certo rinnovamento del regno, subì una svolta reazionaria. Gli anni del suo regno videro moti e repressione e prepararono la fine dello stato borbonico. Infatti, alla sua morte, nel 1859, gli successe il figlio Francesco II, che, nel 1860, davanti all'avanzata dei garibaldini, pur di evitare sofferenze alla sua tanto amata capitale, rinunciò alla resistenza e abbandonò Napoli.

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrava a Napoli, i plebisciti del 21 e 22 ottobre 1860 stabilivano l'unione di Napoli e della Sicilia all'Italia.



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I Monumenti di una Grande Città

CASTELNUOVO O MASCHIO ANGIOINO.

Uno dei simboli della città di Napoli è il Castelnuovo o Maschio Angioino: nel progetto di sviluppo di quest'area della città, a quel tempo ancora priva di costruzioni, gli Angioini inserirono la costruzione della nuova reggia.

La zona pianeggiante, ove sorse il Maschio Angioino, era conosciuta col nome di campus oppidi, la costruzione del castello, avviata nel 1279 da Pierre de Chaules, porterà quest'area ad essere il centro urbanistico della città.

La decisione di costruire la nuova reggia fu presa da re Carlo I, ma i lavori proseguirono anche durante i regni di Carlo II e di Roberto. Quest'ultimo fece costruire la Cappella Palatina e chiamò Giotto ad affrescarne le pareti; purtroppo oggi più nulla resta di quegli affreschi.

Con l'arrivo degli Aragonesi il castello subì una grande trasformazione, furono fatte venire a Napoli maestranze catalane che realizzarono, tra l'altro, le possenti torri in piperno e la maestosa Sala dei Baroni, opera, quest'ultima, di Guillermo Sagrera. La sala presenta una copertura a volta costolonata, con al centro un grande oculo. Il Sagrera prese a modello le coperture delle terme romane e le volte delle grandi cattedrali gotiche. Il nome di Sala dei Baroni deriva dall'episodio della cattura dei nobili che avevano congiurato contro Ferrante.

L'opera, però, che più di tutte testimonia il periodo aragonese è l'Arco di trionfo all'ingresso del castello: uno dei più importanti esempi di scultura rinascimentale, a imitazione degli archi di trionfo dell'antica Roma, raffigura l'ingresso di Alfonso nella capitale conquistata. L'Arco di trionfo è dovuto all'opera di vari scultori: Pietro di Martino e Francesco Laurana, innanzi tutto, ma anche altri artisti come Paolo Romano, Antonio di Chellino, Andrea dell'Aquila, Domenico Gagini, Isaia da Pisa, Pere Joan e Guillermo Sagrera.

PALAZZO REALE E PIAZZA DEL PLEBISCITO.

Un altro dei simboli della città di Napoli è il Palazzo Reale con la piazza del Plebiscito. Il palazzo, costruito durante il periodo vicereale, per volere del viceré conte di Lemos, in occasione di una visita a Napoli del re Filippo III, fu progettato dall'architetto Domenico Fontana. Al suo interno vi è un Teatrino di corte, di costruzione settecentesca, la cappella Reale e un monumentale scalone d'onore, costruito nel 1651 da Francesco Antonio Picchiatti. Nelle nicchie sulla facciata del palazzo, nel 1888, furono collocate le statue dei re di Napoli, al fine di giustificare la dinastia sabauda come continuatrice delle case regnanti a Napoli nei secoli precedenti. Le statue rappresentano Ruggero il Normanno, Federico II di Hohenstaufen, Carlo I d'Angiò, Alfonso I d'Aragona, Carlo V d'Asburgo, Carlo di Borbone, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II di Savoia.

La piazza del Plebiscito incominciò ad assumere l'aspetto attuale solo nel 1809, quando, con l'abbattimento della chiesa e del convento di Santo Spirito, fu costruito il colonnato ad emiciclo che doveva essere il Foro murattiano. Con il ritorno di Ferdinando fu decisa la costruzione della chiesa di San Francesco di Paola, conservando, però, il già costruito colonnato. La chiesa fu costruita per adempiere ad un voto fatto da Ferdinando di Borbone dopo il suo ritorno dall'esilio di Palermo nel 1815. Il progetto della basilica è dovuto all'architetto Pietro Bianchi che disegnò un interno a pianta circolare, su cui si eleva una imponente cupola alta 53 metri, ad imitazione di quella del Pantheon.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE.


Il museo, sede della più importante raccolta di archeologia classica del mondo intero, sorge in quello che fu l'antico Palazzo degli Studi, sede dell'Università.

Fu Carlo di Borbone a costituire il primo nucleo del museo, con la raccolta di antichità della cosiddetta collezione Farnese, ereditata da sua madre Elisabetta Farnese. In seguito, con gli scavi a Ercolano, avviati nel 1738, vi fu la decisione, presa nel 1778, di riunire tutti i reperti delle collezioni reali, fino ad allora conservati a Portici e a Capodimonte, nel vecchio Palazzo degli Studi. Da allora il museo si è, via via, arricchito di opere provenienti dai siti archeologici vesuviani, così come da altre località campane e di tutto il meridione. Oggi vi si può ammirare, tra i tanti capolavori conservati nel museo, la colossale scultura del Toro Farnese, raffigurante il "supplizio di Dirce", ritenuto uno dei più imponenti gruppi statuari del mondo antico; la statua detta Ercole Farnese (entrambe le opere rinvenute a Roma nelle Terme di Caracalla); il celebre Grande Mosaico di Alessandro; infine gli oggetti raccolti negli scavi delle città vesuviane. Sarebbe, comunque, impossibile elencare in poche righe l'enorme ricchezza di opere d'arte riunite nelle sale del museo.

LA REGGIA E IL MUSEO DI CAPODIMONTE.


Fu ancora Carlo di Borbone a volere la costruzione di una reggia sulla collina di Capodimonte. Egli amava la caccia e volle, così, un luogo ove praticare la sua attività preferita. La costruzione del palazzo fu iniziata nel 1738 ad opera di Antonio Medrano. In un primo tempo vi furono ospitate le collezioni di arte antica della raccolta Farnese, successivamente trasferite nel palazzo degli Studi. Lo spostamento delle raccolte di antichità fece diminuire l'interesse per la reggia di Capodimonte, che, in un primo tempo vide interrotti i lavori di completamento, e, successivamente, dovette subire il saccheggio, nel 1799, ad opera delle truppe francesi.

Proprio i francesi, però, durante il decennio della loro occupazione, favorirono la rinascita di Capodimonte, con la costruzione della grande strada di collegamento, voluta da Giuseppe Bonaparte e intitolata Corso Napoleone. Re Giuseppe Bonaparte fece ingrandire il parco della reggia e arricchì il palazzo di opere e arredi. Con la restaurazione borbonica furono recuperate molte delle opere d'arte trafugate e furono completati i saloni monumentali; successivamente fu trasferito nel palazzo il Salottino in porcellana della regina Maria Amalia di Sassonia e fu costituito il primo nucleo di quella galleria di sculture e dipinti ottocenteschi che sarebbe poi diventato il Museo di Capodimonte.

IL CASTEL SANT'ELMO E IL MUSEO DI SAN MARTINO.


Fu Roberto d'Angiò che, nel 1329, ordinò la costruzione del castello sulla sommità del colle di Sant'Erasmo, il castello, costruito da Tino di Camaino, fu terminato nel 1343. Il suo nome originario fu Belforte, per poi divenire Sant'Erasmo ed infine l'attuale Sant'Elmo, pare per corruzione del vecchio nome di Sant'Erasmo, poiché non sembra esistere un santo di nome Elmo; alcuni vorrebbero far derivare il nome attuale da Sant'Antelmo, altri da San Telmo: al di là delle ipotesi, non è possibile, comunque, conoscere l'etimologia del nome.

L'attuale costruzione, completamente rifatta rispetto a quella originaria del periodo angioino, fu voluta dal viceré don Pedro de Toledo nel 1537, su progetto dell'architetto Pirro Louis Escrivà di Valenza. Essa presenta una originale forma a stella a sei punte, che permetteva l'impiego di pochi uomini nella difesa del castello, e fu considerata un'opera di fortificazione unica per quei tempi. Nel 1587 un fulmine colpì la polveriera, distruggendo molti edifici, che furono, poi, ricostruiti da Domenico Fontana.

La Certosa di San Martino fu voluta da Carlo d'Angiò nel 1325, ma solo nel 1368, a causa della lentezza dei lavori, fu possibile consacrare la chiesa, dedicata a Maria Vergine e a San Martino. I lavori di ampliamento della certosa, iniziati nella seconda metà del Cinquecento e continuati sino al Settecento, videro all'opera, nei vari secoli, Giovanni Antonio Dosio, Giovan Giacomo Conforto e, infine, Cosimo Fanzago, che diede alla sua opera una netta impronta barocca.

Già dal 1866 la certosa era stata dichiarata Monumento Nazionale e destinata ad accogliere quello che sarebbe diventato il Museo di San Martino. E' da ricordare la raccolta di Presepi, la più importante collezione di questo genere di tipica forma d'arte napoletana. Il più noto è il cosiddetto Presepe Cuciniello, dal nome del collezionista che, nel 1878, donò al museo la sua raccolta di pastori.

IL CASTEL DELL'OVO.


Sorge su quello che fu detto isolotto di Megaride, approdo dei coloni greci che si stabilirono sul promontorio di Pizzofalcone. Secondo la leggenda il castello fu fondato da Virgilio, che nel medioevo era ritenuto dotato di poteri magici: egli avrebbe nascosto un uovo incantato nelle segrete del castello, e quest'uovo avrebbe avuto poteri miracolosi perché, finché non si fosse rotto, la città di Napoli e il castello sarebbero stati protetti da qualunque calamità. L'isolotto divenne, nel periodo romano, il Castrum Lucullanum, residenza del patrizio Lucio Licinio Lucullo. Tra il 492 e il 496 vi si stabilirono dei monaci basiliani, fondandovi il cenobio di San Severino. L'isolotto fu poi chiamato isola di San Salvatore.

Fu Ruggero il Normanno a volere l'isola come sede della sua residenza. Il castello nei secoli fu più volte rimaneggiato e fortificato: infatti sia nel periodo svevo, ad opera di Niccolò Pisano, che in quello angioino, ad opera di Pierre de Chaules, si lavorò sull'isolotto. E proprio in questo periodo esso diventa Castel dell'Ovo, con la diffusione della leggenda di Virgilio mago. Alfonso d'Aragona mise mano a dei lavori di ristrutturazione che cambiarono totalmente la forma del castello rispetto a quella angioina. In seguito il castello non fu più reggia, ma semplice fortezza militare.

IL CASTEL CAPUANO E PORTA CAPUANA.


Il castello è stato costruito al tempo di Guglielmo I il Malo e terminato nel 1154, anche se lo storico Bartolommeo Capasso lo faceva già presente al tempo del ducato. Fu certamente residenza reale con gli Angioini e poi con gli Aragonesi. Durante il viceregno di don Pedro de Toledo vi furono riunite tutte le corti di giustizia, fino ad allora sparse per la città: la Gran Corte della Vicaria, il Sacro Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria, il Tribunale della Zecca e il Tribunale della Bagliva trovarono tutti sede nel castello, che fu ristrutturato dall'architetto Ferdinando Manlio.

La Porta Capuana ha rappresentato, nei secoli, il principale ingresso della città. Essa era parte integrante dell'ampliamento delle mura voluto da Ferrante d'Aragona. I lavori di costruzione della porta iniziarono nel 1484, essa sostituiva la preesistente porta, con la costruzione delle due torri dette Onore e Virtù, e fu opera di Giuliano da Maiano. Può essere considerato, senza alcun dubbio, una della più importanti opere del Rinascimento a Napoli.

PORTA SAN GENNARO.


Questa porta, tra le più antiche della città, fu l'unica via d'accesso da Napoli all'area a nord della città sino al Cinquecento. Da essa aveva inizio la strada che conduceva alle catacombe in cui era custodito il corpo del santo patrono, e per questo motivo prese il nome di Porta San Gennaro. Un'edicola, recante un affresco di Mattia Preti, sovrasta la porta. Vuole la tradizione che Mattia Preti, valente pittore calabrese, avesse ucciso un uomo a Roma, dove si trovava per affrescare una chiesa, fuggito a Napoli, dove imperversava la peste, forzò il cordone sanitario, che impediva a chiunque l'accesso alla città, uccidendo una guardia. Condannato a morte, fu graziato dal viceré, per i suoi meriti in campo artistico. Fu, però, condannato a dipingere delle immagini sacre, in ringraziamento per lo scampato pericolo della peste, su tutte le porte di accesso alla città. Storia o leggenda che sia, non vi è alcuna traccia degli affreschi di Mattia Preti su nessuna delle porte cittadine, ad esclusione, appunto, di quello della Porta San Gennaro.

LE CATACOMBE DI SAN GENNARO.


Tra il 413 ed il 431 Giovanni I, vescovo di Napoli, fece traslare le reliquie di San Gennaro dalla sua prima tomba, situata nell'agro Marciano, alle catacombe, che furono per questo motivo dette di San Gennaro. Esse, le più importanti di Napoli, risalgono al II secolo d.C. e, fino all'VIII secolo, vi furono sepolti i primi vescovi della città. Le catacombe sono formate da due piani sovrapposti. Quello inferiore, il più antico, in origine era una tomba gentilizia; vi si nota un fonte battesimale fatto costruire, nel 762, dal vescovo Paolo II, che aveva dovuto abbandonare, a causa degli iconoclasti, la sede vescovile all'interno della città; il fonte battesimale doveva sostituire quello di San Giovanni in Fonte, situato nel duomo. Nel piano superiore, anch'esso originariamente un antico sepolcro, si possono ammirare due sale quadrate e una cupola con affreschi, oltre a due chiese, dette basilica dei vescovi e basilica maior.

LE CATACOMBE DI SAN GAUDIOSO.


Queste catacombe si svilupparono attorno alla tomba di San Gaudioso eremita di origine africana, morto nel 452, e a quella di San Nostriano. Da ricordare i sedili in pietra dove nel Seicento, secondo un'usanza spagnola, venivano posti i cadaveri a disseccare, prima di murarli nella parete, lasciando fuori solo il teschio e dipingendo sul muro lo scheletro del defunto.  

PALAZZO GRAVINA.


Il palazzo, attualmente sede della facoltà di Architettura, rappresenta uno dei più alti esempi di architettura civile del Rinascimento a Napoli. Esso fu costruito, tra il 1513 ed il 1549, da Gabriele d'Angelo, allievo del Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, per Ferdinando Orsini, duca di Gravina. Tra il 1762 ed il 1782 fu costruito il portale d'ingresso.

PALAZZO COMO E IL MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI.


Gaetano Filangieri, principe di Satriano, donò la sua raccolta alla città nel 1882. Il palazzo, costruito nella seconda metà del Quattocento per il mercante fiorentino Angelo Como, è stato attribuito, ma non è certo, a Giuliano da Maiano, altri lo vogliono costruito dagli architetti Rubino di Cioffo  e Evaristo da San Severo. Invece si sa con sicurezza che i successivi lavori, tra il 1467 ed il 1490, videro all'opera gli artisti toscani Francesco di Filippo da Settignano, Ziattino di Benozzo da Settignano e Domenico Felice da Firenze, che realizzarono la bella facciata in bugnato e quattro finestroni. Il museo civico contiene raccolte di armi, porcellane, costumi, dipinti e sculture.

IL DUOMO.

La cattedrale, dedicata all'Assunta, sorge sulla attuale via Duomo, quello che, in epoca romana, era denominato vicus Radii Soliis. Sant'Aspreno, primo vescovo della città, aveva posto in questo luogo la sua sede vescovile. La costruzione della chiesa fu voluta da Carlo I d'Angiò; essa sorse sul luogo dove già vi erano le due basiliche di Santa Restituta e della Stefania. L'antica Santa Restituta era stata fondata nel IV secolo dall'imperatore Costantino, probabilmente sul luogo ove sorgeva un tempio dedicato ad Apollo. Alla destra dell'abside di Santa Restituta vi è il battistero di San Giovanni in Fonte, eretto dal vescovo Severo tra il IV ed il V secolo; esso è il più antico di tutta la cristianità occidentale ad avere il fonte battesimale ad immersione. Alla fine del V secolo il vescovo Stefano I costruì, accanto a Santa Restituta, un'altra basilica, che fu detta Stefania. Per costruire la nuova cattedrale la Stefania fu sacrificata e Santa Restituta, inglobata dalla nuova costruzione, ne divenne una cappella. Lungo la navata destra del duomo si apre la Cappella del Tesoro di San Gennaro: nel 1527, imperversando una epidemia di peste, la città fece voto di costruire una cappella dedicata al santo patrono. La costruzione fu avviata solo nel 1608 dall'architetto Francesco Grimaldi e nel 1646 l'arcivescovo Ascanio Filomarino benedirà l'opera completata. Sotto l'altare principale del duomo vi è la Cappella Carafa, detta anche del Succorpo, splendido esempio di arte rinascimentale. Essa fu voluta nel 1497 dal cardinale Oliviero Carafa per ospitare le reliquie delle ossa di San Gennaro, e fu realizzata da Tommaso Malvito e dal figlio Giovan Tommaso, forse su progetto del Bramante.  

LA CHIESA DI SANTA CHIARA.

Roberto d'Angiò e la consorte Sancia di Maiorca, particolarmente devoti all'Ordine francescano, vollero, nel 1310, la fondazione della chiesa e del monastero. La chiesa fu costruita da Gagliardo Primario, anche se si fanno pure i nomi di Leonardo di Vito e di Lando di Pietro. Il campanile, la cui costruzione fu iniziata nel 1328, fu completato nel XVI secolo. All'interno della chiesa vi sono il Sepolcro di Carlo di Calabria ed il Sepolcro di Maria di Valois, entrambi dello scultore senese Tino di Camaino e della sua bottega. Al centro della parete di fondo del presbiterio si trova il monumentale Sepolcro di Roberto d'Angiò, realizzato dai fiorentini Giovanni e Pacio Bertini tra il 1343 ed il 1345. Infine vi è il Sepolcro di Clemenza ed Agnese diDurazzo, opera di anonimo.

LA CHIESA DEL GESU' NUOVO.  


Dove oggi sorge la chiesa era stato edificato, alla fine del Quattrocento, il palazzo di Roberto Sanseverino, principe di Salerno. L'architetto che lo progettò fu Novello da Sanlucano, egli realizzò la facciata di piperno in bugnato a punta di diamante. La facciata, molto simile a quella del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, fu completata nel 1470, ed è quindi precedente a quella del palazzo ferrarese, la cui costruzione ebbe inizio solo a partire dal 1493. Roberto Sanseverino, molto devoto a re Ferrante d'Aragona, aveva ottenuto dal sovrano cariche ed onori; non così suo figlio, Antonello Sanseverino, che avendo partecipato alla Congiura dei Baroni, fu privato di tutti i suoi beni e perse, così, anche il magnifico palazzo ereditato dal padre. Durante il periodo vicereale il palazzo, per volontà diretta del re di Spagna, fu restituito a Roberto Sanseverino, figlio di quell'Antonello che ne era stato scacciato anni prima. Ferrante Sanseverino, figlio di Roberto, fu duramente perseguitato dal viceré don Pedro de Toledo, che nutriva un forte malanimo nei suoi confronti, e che fece nuovamente confiscare i beni dei Sanseverino; fu così che, nel 1584, i Gesuiti poterono venire in possesso dello storico edificio. La chiesa, progettata dal gesuita Giuseppe Valeriano, fu consacrata nel 1601. All'interno, nella controfacciata, si può ammirare un grande affresco, la Cacciata di Eliodoro dal tempio, eseguito nel 1725; capolavoro di Francesco Solimena. Gli affreschi della volta dell'altare maggiore, dipinti tra il 1639 ed il 1640 da Massimo Stanzione, narrano le Storie della vita della Madonna. La volta della navata maggiore, del 1609, fu affrescata da Belisario Corenzio.

LA CHIESA DI PIEDIGROTTA ED IL SEPOLCRO DI VIRGILIO.


La chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, in origine dedicata alla Natività di Maria, venne edificata nel 1352, sul luogo ove esisteva una cappella, dove si venerava un'immagine della Vergine del Serpente o dell'Idria, eretta dai pescatori di Mergellina. La leggenda vuole che la Vergine apparisse in sogno ad  un monaco, ad un eremita e ad una monaca chiedendo che venisse eretta una chiesa in quel luogo. Successivamente re Alfonso d'Aragona la fece ingrandire e ne affidò la cura ai Canonici Lateranensi. In origine l'ingresso della chiesa era dove oggi vi è l'altare maggiore, nel 1506 furono intrapresi lavori di restauro e l'entrata fu spostata sulla facciata rivolta verso la città. L'interno della chiesa fu nuovamente restaurato tra il 1809 ed il 1824 e l'attuale facciata, del 1853, fu realizzata da Enrico Alvino. Sull'altare maggiore vi è la Statua lignea della Madonna di Piedigrotta, opera di ignoto artista di scuola senese, scolpita, probabilmente, tra il 1320 ed il 1330. Nella prima cappella a sinistra dell'ingresso il soffitto è affrescato da Belisario Corenzio. Tra i dipinti situati nelle varie cappelle ricordiamo lo Sposalizio della Vergine, attribuito a Paolo Domenico Finoglia e la tavola raffigurante La Pietà, della metà del Quattrocento, di autore ignoto. Alle spalle della chiesa vi è quello che la tradizione ritiene essere il Sepolcro di Virgilio, situato a sinistra dell'antica Crypta Neapolitana o Grotta di Pozzuoli, quest'ultima attribuita all'architetto romano Cocceio e realizzata in epoca repubblicana per favorire le comunicazioni tra Napoli e Pozzuoli. La tomba di Virgilio è un antico colombario romano coperto da una volta a botte e la tradizione, già in epoca angioina, la indicava quale sepolcro del grande poeta latino. Nei pressi vi è anche la tomba di Giacomo Leopardi, morto a Napoli nel 1837 e seppellito nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta; nel 1939 i resti del poeta furono traslati nell'attuale sepolcro.

LA CHIESA DI SAN LORENZO MAGGIORE.


La piazza dove sorge la chiesa era già in epoca greco-romana il centro della città, prima agorà e poi foro romano. Qui vi era il Tempio dei Dioscuri (di cui oggi restano due colonne con capitello corinzio addossate alla facciata della chiesa di San Paolo Maggiore) ed il macellum, cioè il mercato di epoca romana. Nei pressi della piazza vi era il teatro e l'odeion, e ancora oggi si notano, lungo la vicina strada dell'Anticaglia, degli archi in laterizio, resti dell'antico teatro. I lavori di costruzione della chiesa ebbero inizio nel 1270, per volere di Carlo I d'Angiò, e furono affidati a valenti artisti francesi, che vollero l'abside in stile gotico francese. Successivamente i lavori furono interrotti, per essere ripresi solo molti anni dopo, ad opera di architetti locali. In questa chiesa Giovanni Boccaccio, a Napoli per far pratica presso un banco fiorentino, conobbe la sua Fiammetta. Alla destra della facciata vi è il campanile, terminato nel 1507. All'interno della chiesa vi è il Sepolcro di Caterina d'Austria, opera realizzata, tra il 1323 ed il 1325, da Tino di Camaino; il Sepolcro di Ludovico Aldomorisco, opera di Antonio Baboccio da Piperno; infine l'altare maggiore, realizzato da Giovanni da Nola verso il 1530. Vanno, infine, ricordati gli Scavi di San Lorenzo Maggiore: un complesso archeologico sotterraneo in cui si notano le stratificazioni delle costruzioni cittadine nei secoli. Infatti a costruzioni di epoca greca, risalenti al IV secolo a.C., si sovrappongono resti di edifici del I secolo d.C. e di età imperiale. Inoltre resti di epoca medievale corrispondono all'antica basilica paleocristiana, già dedicata a San Lorenzo, eretta alla metà del VI secolo.

 
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